La crisi della biodiversità: la sesta estinzione di massa è cominciata.
17 Giugno 2022
Biodiversità
Il rapporto annuale del WWF osserva come l’Indice di Vita del Pianeta stia continuando a diminuire.
L’IPV è un numero che rappresenta lo stato di 21.000 popolazioni animali in tutto il mondo. Gran parte delle “grandi famiglie” di animali e vegetali hanno subito un calo medio del 68% dal 1970; il calo più grave (94%) si è verificato in Centro e Sud America, ma l’IPV è diminuito del 24% anche in Europa. La biodiversità sta vivendo la più grande crisi nella storia dell’uomo e questo avrà impatti devastanti per tutti noi.
Per preservare la biodiversità, non è sufficiente proteggere alcune aree, ma dobbiamo apportare cambiamenti molto più profondi nel nostro modo di vivere. La popolazione umana e le attività umane continuano a crescere costantemente, l’impronta ecologica è così grande che avremmo bisogno di 1,6 pianeti per mantenere le nostre attività. Di fronte a questa situazione, nel 2017 più di 15.000 scienziati di 184 paesi hanno firmato un manifesto affermando che l’umanità sta finendo il tempo.
Sono diversi i fattori di perdita di biodiversità. Su scala globale, i principali fattori di perdita di biodiversità animale e vegetale sono la distruzione, la degradazione e la frammentazione degli habitat, a loro volta causate sia da calamità naturali (come incendi, eruzioni vulcaniche, tsunami e alluvioni) che dalle deturpazioni e le profonde mutazioni inflitte al territorio dall’Uomo. L’emblema dell’invasione antropocentrica è la distruzione della foresta tropicale, perpetrata per occupare le zone boschive con coltivazioni di soia, canna da zucchero o palma da olio, rappresentando così una tra le principali cause di perdita di biodiversità, sia perché la foresta tropicale ne è molto ricca, sia perché ne vengono distrutti milioni di ettari ogni anno. Aree verdi, foreste, zone umide e habitat naturali o semi-naturali vengono distrutti per ragioni legate alla produzione industriale come: il prelievo di piante per le industrie farmaceutiche o cosmetiche; la distruzione del patrimonio naturale per costruire aeroporti, centri commerciali, parcheggi, abitazioni.
Secondo la FAO, negli ultimi dieci anni sono distrutti mediamente 13 milioni di ettari di foreste l’anno (una superficie pari a quella della Grecia). In più altri milioni di ettari ogni anno sono degradati dal prelievo di materie prime, dalla costruzione di miniere, dighe e strade. La maggior parte della deforestazione si concentra nei paesi tropicali: Brasile, Indonesia e Congo, in tre diversi continenti, sono le nazioni più colpite dal fenomeno e il danno non si limita alla sola perdita di biodiversità. Gli alberi infatti sono naturali depositi di carbonio, sia per la loro composizione chimica (sono costituiti per il 20% di carbonio) che per la loro capacità di assorbirlo “respirando”. La distruzione delle foreste, quindi, causa la liberazione in atmosfera di enormi quantità di gas-serra, responsabili del riscaldamento globale. Gli scienziati dell’IPCC ritengono che circa il 20% dei gas-serra immessi ogni anno nell’atmosfera derivano dalla distruzione e dalla degradazione delle foreste e degli habitat. Il riscaldamento globale e i conseguenti cambiamenti climatici sono a loro volta ulteriori fattori di perdita di biodiversità.
Come affermano gli esperti, la “circolarità” è la caratteristica delle problematiche ambientali. La deforestazione è matrice dei cambiamenti climatici, l’alterazione del clima su scala globale, a sua volta, rappresenta una delle cause più comuni di perdita di biodiversità: l’esempio di questo fenomeno sono le barriere coralline e il crescente sbiancamento delle formazioni coralligene, causa del degrado biologico di un habitat così rigoglioso e fondamentale per moltissime specie marine animali e vegetali.
Il fenomeno della circolarità ci permette di analizzare fenomeni naturali come i cambiamenti climatici in stretta correlazione causale con l’attività umana. Il clima e la sua variabilità è sempre più legato infatti all’inquinamento e alle relative conseguenze che esso porta, come l’alterazione profonda dei cicli vitali fondamentali per il funzionamento globale dell’ecosistema. Le principali fonti d’inquinamento sono, oltre alle industrie e gli scarichi civili, anche le attività agricole che, impiegando insetticidi, pesticidi e diserbanti, alterano profondamente i suoli.
La mano dell’Uomo non si ferma qui. La perdita di equilibrio nella biodiversità globale viene attribuito all’opera di introduzione delle specie alloctone, cioè l’inserimento in un habitat di specie appartenenti ad altre zone. Questo fenomeno comporta nel 20% dei casi su scala globale la perdita di un gran numero di specie, dovute all’insorgere tra le famiglie autoctone e alloctone di competizione per risorse limitate, predazione da parte della specie introdotta e diffusione di nuove malattie.
La caccia e pesca intensive rappresentano un ulteriore fattore di aggravamento delle condizioni di molti habitat. La caccia mette da sempre a rischio specie animali molto vulnerabili come quelle la cui pelle e le cui corna, tessuti e organi hanno un alto valore commerciale (tigri, elefanti, rinoceronti, balene, ecc.).
La pesca industriale invece comporta danni incredibili per l’ecosistema marino. La pesca a strascico, il ghost fishing e l’abbandono di attrezzature ittiche rappresentano una grave minaccia per la stabilità dell’habitat marino comportando ogni anno la morte di migliaia di esemplari animali: intrappolati nelle reti fantasma, uccisi da massicce e brutali pratiche di pesca intensiva come il Grindgrap o morti per l’inquinamento crescente di plastica, combustibili ecc.
Le soluzioni adottate finora dalle Organizzazioni internazionali sono solo parzialmente efficaci: l’istituzione del 30% di aree marine protette tarda a giungere a compimento vedendo aumentare sempre di più le specie a rischio. La tutela di specie selvatiche a rischio estinzione trova in molti casi un limite nella convivenza con il diffondersi di aree urbane e industriali, mettendo in conflitto Uomo e Natura.
L’unica soluzione percorribile è la modifica radicale di un sistema economico ormai insostenibile. L’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti nel settore agricolo, il grande impatto ambientale degli allevamenti in termini di emissioni e sfruttamento del territorio, il soddisfacimento delle esigenze consumistiche tramite lo sfruttamento di ecosistemi fragili sono tutte questioni che stiamo affrontando tropo lentamente per comodità o impossibilità nel cambiare gli equilibri, e che stanno portando il mondo sull’orlo della più grande perdita di biodiversità nella storia dell’Uomo.