Le Balene, patrimonio di diversità.
13 Marzo 2023
Biodiversità
Le balene sono in grado di determinare l’assorbimento di enormi quantità di CO2, contrastando l’aumento delle temperature globali.
Una grande balena assorbe in media 33 tonnellate di CO2, mentre un albero ne immagazzina annualmente meno di cinquanta chili. Quando il cetaceo muore si inabissa trascinando l’anidride carbonica catturata in fondo all’oceano, dove rimarrà per secoli, fornendo un inestimabile servizio ecosistemico agli oceani di tutto il mondo e di contrasto al riscaldamento globale.
Inoltre le deiezioni di questi grandi mammiferi marini, ricche di ferro e azoto, sono in grado di fertilizzare il fitoplancton, favorendone la crescita. Anche il fitoplancton gioca un ruolo cruciale nella regolazione del clima, poiché cattura ogni anno circa 37 miliardi di tonnellate di CO2, circa il 40% di tutta quella prodotta. La quantità di anidride carbonica sequestrata dal plancton è paragonabile a quella di quattro foreste amazzoniche e settanta volte superiore a quella assorbita dalle colossali sequoie dei parchi statunitensi, secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale.
Attualmente nei mari della Terra nuotano circa 1,3 milioni di balene, mentre il loro numero prima che venissero cacciate massicciamente si aggirava intorno ai 4-5 milioni. Aumentando il numero di balene aumenterebbe significativamente anche il volume di fitoplancton negli oceani e, di conseguenza, la quantità di carbonio catturato ogni anno. L’aumento dell’1% del fitoplancton grazie alle attività delle balene implicherebbe il sequestro di centinaia di milioni di tonnellate di CO2 all’anno, equivalente alla comparsa improvvisa di due miliardi di alberi maturi, secondo lo studio del Fondo Monetario Internazionale.
La caccia alle balene continua. Non abbassiamo la guardia!
Nel Novecento la caccia alle balene portò a un passo dall’estinzione la maggior parte delle specie esistenti. Si stima che tra il Settecento e l’Ottocento furono uccisi circa 300 mila capodogli: in soli 60 anni a cavallo tra Ottocento e Novecento quel numero venne uguagliato e negli anni Sessanta raddoppiato.
Nel 1946 venne istituita l’International Whaling Commission (IWC), che si occupava di regolamentare la caccia dei cetacei a fini commerciali, fissando le quote di animali che ciascun Paese membro poteva uccidere. Tuttavia le quote previste non tenevano conto del tasso di riproduzione delle diverse specie di cetacei e di quanti animali fossero in circolazione per ciascuna di esse. Inoltre venivano uccisi molti più animali di quelli dichiarati dai balenieri.
Infine nel 1982 la Commissione internazionale per la caccia alle balene approvò una moratoria alla caccia commerciale che va avanti tuttora. Oggi l’IWC si occupa anche di catture accidentali, collisioni con le navi, rumore dell’oceano e altre forme di degrado dell’habitat.
Lo stop dell’Islanda dal 2024.
L’Islanda è rimasto uno degli ultimi Paesi al mondo, insieme a Norvegia e Giappone, che continua a praticare la caccia alle balene a fini commerciali. Le baleniere del Giappone, della Norvegia e dell’Islanda hanno ucciso ben 40 mila esemplari dal 1986 in poi, sotto la falsa bandiera della ricerca scientifica. Secondo i dati più recenti dell’IWC solo nel 2020 sono state uccise oltre 800 balene a fini commerciali.
Tuttavia lo scorso anno il Ministro islandese per la Pesca ha dichiarato che questa attività non è più redditizia e che alla fine del 2023 le licenze alle compagnie non saranno più rinnovate.
Vi sono infine gli Stati Uniti, dove le comunità dell’Alaska cacciano e consumano alcuni esemplari ogni anno, e la Danimarca, dove lo stesso avviene nelle province autonome delle Isole Faroe e della Groenlandia.
Proteggiamo le balene per proteggere tutti noi!
L’ignominia del Grindadrap.
Il Grindadrap è una vera e propria mattanza di delfini e balene, letteralmente macello (drap) delle balene (grind), che si consuma da oltre 400 anni nelle acque delle Isole Faroe, un arcipelago di 18 isole che fanno parte del Regno di Danimarca, situate tra l’Islanda e la Norvegia nell’oceano Atlantico del Nord.
Nel 2021 è stato raggiunto lo spregevole record di 1428 delfini spinti a riva e sgozzati in un solo giorno.
Inizialmente dettata dalla necessità di sostentamento delle popolazioni di isolani, questa pratica rimane oggi una tradizione vergognosa e crudele, in nome della quale ogni anno viene compiuta una strage silenziosa di cetacei che tinge di rosso le acque del mare.