Biodiversità: crisi del patrimonio biologico globale

Ambiente Mare Italia - AMI Informa

4 Novembre 2022

Biodiversità

Secondo uno studio pubblicato su Nature, la massa di prodotti artificiali generati dall’uomo (fatta di edifici, strade, cemento e tanto altro) ha superato quella naturale che racchiude l’insieme di “tutta la vita” presente sul Pianeta (biomassa,animali, microrganismi, piante e funghi).

Si tratta di un dato che fa comprendere bene quanto negli anni l’attività umana sia diventata sempre più invasiva, capace di alterare l’equilibrio naturale.

La ricerca evidenzia come delle circa otto milioni di specie animali e vegetali conosciute sul Pianeta, un milione è oggi a rischio estinzione; in alcuni casi l’uomo ha accelerato fino a mille volte il tasso di estinzione naturale.

Un elevato fattore di pressione sugli ecosistemi è rappresentato dall’aumento delle temperature globali e dalla crisi climatica che investe la maggior parte degli ecosistemi. Oggi il mondo vive a una media di 1,1°C in più rispetto all’epoca preindustriale e se non avverrà una transizione sostenibile dei nostri processi produttivi e delle nostre abitudini di consumo, ci avvicineremo pericolosamente alla soglia di 1,5°C, limite oltre il quale le conseguenze della crisi climatica sarebbero disastrose.

Dal 1900 a oggi nella maggior parte degli habitat terrestri è diminuita di almeno il 20% l’abbondanza di specie autoctone, minacciate non solo da fattori climatici e dalla pressione esercitata dall’uomo ma anche dal fenomeno delle specie aliene invasive. Quest’ultime rappresentano un forte pericolo per i nostri ecosistemi, basti pensare che sono state capaci di generare danni economici per circa 1288 miliardi di dollari dal 1970 al 2017, fa notare la ricerca “High and rising economic costs of biological invasions worldwide” (marzo 2021) pubblicata su Nature. Un valore enorme che, per esempio, “supera di 20 volte il totale dei fondi disponibili per l’Organizzazione mondiale della sanità e le Nazioni unite messe insieme”.

L’Ipbes (Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystems Services) negli ultimi reports, prevede che le tendenze che minano le funzioni vitali degli ecosistemi peggioreranno in molti scenari a causa di un insieme di fattori come la rapida crescita della popolazione umana e i modelli di produzione e consumo non sostenibili. Al contrario, scenari basati su un uso sostenibile delle risorse, anche in risposta all’aumento demografico, ci mostrano che un futuro diverso è possibile.

Tuttavia l’ingerenza in natura delle attività umane ha già causato danni irreparabili a ecosistemi e agli organismi che li abitano. Il sovrasfruttamento degli habitat e l’eccessiva produzione di emissioni clima-alteranti, negli ultimi 30 anni, hanno minato la salute di molte specie animali.

Le popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci sono calate in media del 69% dal 1970, nel mondo, e in America Latina e nei Caraibi la perdita di fauna selvatica ha raggiunto il 94%.

Il Living Planet Report del Wwf ha evidenziato come la crisi di biodiversità che stiamo vivendo rischia di mettere a repentaglio gli equilibri naturali degli ecositemi. L’analisi alla base del Rapporto, condotta su quasi 32.000 popolazioni di 5.230 specie di vertebrati, ha condotto gli esperti a lanciare un appello in vista della èrossima Conferenza sul clima di dicembre: “bisogna invertire la perdita di biodiversità.

Fra le specie monitorate dal Progetto ci sono i delfini rosa di fiume dell’Amazzonia, le cui popolazioni sono crollate del 65% tra il 1994 e il 2016 nella Riserva brasiliana di Mamirauá; i gorilla di pianura orientale, il cui numero ha subito un declino stimato dell’80% nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega in Congo tra il 1994 e il 2019; e i cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale, il cui numero è calato di due terzi tra il 1977 e il 2019.

Complessivamente, come gruppo di specie, la riduzione maggiore riguarda le popolazioni d’acqua dolce monitorate, diminuite in media dell’83% a causa della perdita di habitat e delle barriere alle rotte migratorie.

“Senza un cambiamento strutturale nelle nostre politiche, economie, abitudini quasi nessuno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (SDGs) potrà essere raggiunto”, avvertono i redattori del Rapporto.